La qualità del vino – aprile maggio giugno 2013

Dalla rivista “Oinos” – di  G. Soldera

La gestione del vigneto dal risveglio vegetativo richiede la presenza quotidiana del contadino in vigna (non è giusto usare il termine operaio, tipico dell’industria; il contadino è il conoscitore della terra, delle piante, delle essenze). Vorrei anche sottolineare che oltre il 90% del tempo necessario alla gestione di una società vitivinicola deve essere dedicato alla vigna, la cantina abbisogna di uno scarso 10%; va spiegato ai giovani, che chiedono sempre di essere occupati in cantina: non vi è futuro occupazionale nelle cantine, mentre ci sarà sempre di più richiesta di contadini che sappiano e vogliano occuparsi della terra e della vigna.

Il 7 giugno u.s. ho parlato ai giovani (molto attenti) delle ultime classi dell’Istituto Agrario di Siena, invitandoli a non andare al mare durante le vacanze estive, ma dedicare il tempo al lavoro all’estero – come è consuetudine negli Stati Uniti – e a innamorarsi del lavoro sulla terra in generale e nella vigna in particolare. La vigna necessita di contadini che sappiano usare il cervello, gli occhi e poi le mani; ci vuole attenzione, concentrazione ed è indispensabile memorizzare ogni differenza tra pianta e pianta, tra anno ed anno; certamente ci sono, attualmente, centraline che danno per ogni giorno, temperatura, precipitazioni, bagnatura fogliare, radiazione solare, temperature medie, medie umidità relativa, indice infezione peronospora, indice sporulazione peronospora, indice possibili malattie muffa grigia, gravità oidio o malbianco e altri strumenti che misurano il consumo dell’acqua di ciascuna vite; si possono inoltre avere altri congegni per conoscere subito se ci sono altri attacchi dannosi per la vite; possiamo inoltre, con analisi del terreno, conoscere le necessità dei terreni (che sono diverse per ogni appezzamento), in modo che le concimazioni invernali siamo mirate, perché abbondanza o deficienza di concimi naturali sono dannosi. L’utilizzo dei droni riveste particolare importanza e l’esperienza sulle mie vigne mi ha permesso di ampliare notevolmente i dati a mia disposizione per il miglioramento della gestione dei vigneti. Tutti questi strumenti sono molto utili e aiutano a sbagliare di meno, ma è l’uomo che deve essere attento a utilizzarli, confrontando i dati con la propria memoria storica e con l’attenta osservazione delle piante, delle foglie, della fioritura, dell’allegagione e di tutte le manifestazioni della vite che, nella sua continua trasformazione, indica al contadino attento  le sue necessità e le sue malattie.

La vite malata necessita di molto tempo e  attente cure da parte del contadino, ma, senza l’aiuto e il controllo sul campo del patologo, i risultati sono  assolutamente negativi; una delle malattie più pericolose e coi peggiori risultati, che colpisce le nostre vigne, è sicuramente il “Mal dell’Esca”: da anni il Professor Giuseppe Surico, patologo dell’Università di Firenze, autore o coautore di oltre 250 pubblicazioni scientifiche e di tre opere coordinate di patologia vegetale, si occupa con il suo staff dello studio di questa malattia, flagello del patrimonio viticolo europeo: le sue ricerche, sperimentazioni, osservazioni – anche sul campo – danno la possibilità al contadino di operare al meglio sia preventivamente, sia per limitare la morte delle viti, che per recuperarne un certo numero; anche in questo caso l’aiuto e il controllo delle università è essenziale per migliorare la qualità del prodotto: viti malate non possono produrre uve atte a dare un ottimo vino.

I trattamenti non devono essere sistemici, non si devono usare antimuffe, né prodotti che verranno trasmessi dalla pianta all’uva, ma solo zolfo e rame e l’ultimo trattamento non oltre il 25 luglio.

Le operazioni di diradamento e sistemazione dei grappoli devono esser fatte ogni qualvolta si tocca una vite, la legatura e la sfogliatura (operazione importantissima, alla quale bisogna dare grandissima importanza, anche studiando quanto la ricerca universitaria pubblica) non sono operazioni meccaniche, ma lavori che richiedono la massima concentrazione degli operatori perché condizionano moltissimo la qualità finale dell’uva; nello stesso tempo l’occhio attento vede e sistema al meglio il grappolo nel suo evolversi; certamente è essenziale il diradamento finale all’inizio dell’invaiatura, ma questa operazione deve essere il punto di arrivo di una continua attenzione all’ottimale sistemazione dell’uva sulla pianta; penso di avere chiaramente indicato l’essenzialità e l’indispensabilità dell’uomo capace, attento e concentrato nella coltivazione della vite. In tutte queste operazioni l’uomo non può essere sostituito dalle macchine, se si vuol ottenere un prodotto uva atto a divenire un grande vino.

L’ultima operazione da farsi, prima della vendemmia, a seconda, delle zone, verso fine agosto/primi di settembre, è scoprire l’uva togliendo le foglie che non danno più sostanza, in modo che l’uva non trattenga acqua e/o umidità: è evidente che anche quest’importantissima operazione deve essere fatta a mano da contadini capaci.

Quanto sopra risulta ancor più importante nella situazione attuale di cambiamenti climatici: piove continuamente da novembre 2012 al 12 giugno 2013 con notevole intensità; la sfioritura è appena terminata; il caldo è iniziato da pochi giorni; gli studiosi del tempo non riescono più a fare previsioni attendibili, se non a pochi giorni.

Tutto ciò richiede una maggiore capacità, attenzione, concentrazione al contadino, che ogni giorno è nella vigna; ma sarà sempre più difficile trovare contadini capaci e dotati di queste conoscenze, atte a ottenere un’uva che possa essere trasformata in vino, senza che la stessa abbia bisogno di aiuti; questa è la grande sfida che ogni viticultore deve affrontare e, se i giovani non accetteranno di impegnarsi a imparare per diventare contadini vignaioli non potrà esserci futuro per i grandi vini italiani; ho affrontato questo tema dell’apprendistato giovanile ipotizzando una legge che tenesse conto di: valutazione ogni sei mesi del miglioramento degli apprendisti (con relativa possibilità di interrompere il rapporto) valendo ciò sia per la società che per l’apprendista; controllo che la società non utilizzi gli apprendisti al posto dei dipendenti normali; durata massima di due-tre anni del periodi di apprendistato; distacco dai contratti collettivi e aziendali, salvi i diritti fondamentali; regolamento separato per i rapporti coi sindacati, sia dei dipendenti che degli imprenditori: non si può pensare che le parti sindacali possono limitare l’utilizzo di uno strumento essenziale per dare lavoro, istruzione professionale e futuro ai giovani, dato che i costi saranno sostenuti da tutti i contribuenti.

Io sarei pronto ad assumere immediatamente due giovani apprendisti (uno per la vigna e uno per il giardino).

Ho notizie, da molte fonti, che il mercato del vino in Italia sia in sofferenza, del resto tutta l’economia italiana è in crisi e le promesse elettorali non potranno essere mantenute: sono passati quattro mesi dalle elezioni e non mi sembra che la politica abbia affrontato i problemi che affliggono l’Italia, sono convinto che l’agricoltura del territorio, unita al turismo del territorio sia, in questo momento, l’arma vincente dell’economia italiana (bisognerà però iniziare a ricostruire l’industria di alta tecnologia). Abbiamo arte e cultura unici al mondo e poi mare, montagne, territori che tutto il mondo ci invidia, ma perdiamo turisti, rispetto ad altre nazioni: forse dobbiamo cominciare a interrogarci sui perché e trovare le risposte e i rimedi.

Cosa ne pensate?