“Gianfranco Soldera, solista a Montalcino” di F. Graziani e M. Pozzali

“Bar Business”

È uno dei più importanti e sensibili uomini del vino che il nostro paese possa vantare. Il suo Brunello è un paradigma di perfezione e unicità, plasmato con la forza, il calore e l’espressività delle sue uve e la delicatezza, la cura e l’attenzione del grandissimo artigiano.

Suonare in un’orchestra, dove una sbavatura lieve viene assorbita dalla giusta esecuzione degli altri strumenti, è molto differente dall’esibizione di un solista, in cui a mettersi in gioco è un uomo, una persona sola con le proprie virtù, con i propri limiti e in cui ogni minima imperfezione, come pure ogni pulizia e pregio, vengono amplificati dall’imperdonabile rigidità del silenzio. Ed è proprio in questo silenzio che abbiamo finalmente trovato una voce al di fuori del coro. Una suono forte e chiaro, che non ha intenzione di confondersi con l’ensemble dell’orchestra toscana.

Gianfranco Soldera non è una persona comune. Ha idee diverse, chiare e imprescindibili su come debba nascere un grande vino: “Il confronto è la base per la crescita e io da anni bevo solo grandi vini. Per avere riferimenti li devi bere, li devi conoscere in ogni sfaccettatura, in ogni annata. Camminare nei vigneti, nelle terre elette, questo mi permette oggi di produrre un grande vino. Ma non basta: serve il naso e l’esperienza in questo senso non c’entra.

Avere la sensibilità olfattiva di riconoscere un difetto, una sensazione, una sfumatura. È fondamentale”.

Oggi parliamo di questo ma i risultati ottenuti partono da radici molto lontane. Da Milano, per iniziare, dove Gianfranco ha trascorso i suoi primi decenni, e già si percepiva dalle sue frequentazioni in Piemonte che le prospettive erano quelle di un ritorno alla campagna.

Nel cuore di Montalcino

La ricerca per il luogo giusto si è prolungata per tre anni e noi possiamo solo immaginare il numero di suoli calpestati in questa fase di studio della grande terra.

Poi, quasi fatalmente, ci ritroviamo a pochi passi da La Pieve, a Montalcino, nella provincia senese. Una distesa di campi abbandonati, non una pianta di vite, eppure quella era la terra.

Da una matrice unica e poche case abbattute risorge Case Basse, le vigne prendono forma, il cosmo viene ricreato, il paesaggio rivive. Abbiamo parlato di terra, di esperienza, di naso; ma per fare un grande vino ci vuole ben altro.

Occorre osservare la natura, come l’uomo ha sempre fatto nei cento, mille anni passati, un fattore che oggi esclude la maggior parte dei produttori.

Poi l’intelligenza di capire i meccanismi fisico-biologici, riproponendoli e ricreando le condizioni nel nostro habitat per assecondare le nostre necessità.

A questo punto, elemento collante di osservanza e intelligenza diviene lo studio, il confronto, la sperimentazione.

A Case Basse le università di tutta Italia sono di casa; il professore Attilio Scienza, docente di viticultura all’Università di Milano, ha qui sviluppato una delle sue prime zonazioni.

I professori di Viticoltura, Microbiologia e Paesaggistica si susseguono a voler collaborare e in parte a capire.

Il segreto, espressione di quanto appena elencato? Senza dubbio il giardino di Graziella, moglie di Gianfranco, ha contribuito enormemente alla materializzazione di quanto detto, con il continuo arricchimento di uno tra gli orti botanici privati più incredibili e assoluti.

Il giardino di Soldera

Acqua, minerali, luce ed energia: da questo insieme di elementi inizia la vita. E questo è presente, in mezzo ai due ettari di terreno che sono impegnati nel salvaguardare le microcondizioni che determinano un territorio nella sua interezza. Gli appassionati rischiano di perdersi in una tale completezza, noi non possiamo fare altro che rimanere estasiati da un mondo vero che credevamo perduto.

Una parte importante del giardino è riservata ai fiori bianchi. “Come farei se non avessi la totale efficienza degli impollinatori notturni?”, si domanda Soldera. Decine di varietà di mele, da fiore, da frutto, lavanda, rose, rose, rose, ninfee…. potremmo continuare all’infinito. E prosegue: “Ci sono anche sette ettari di bosco attorno alle vigne, anche loro indispensabili al fine armonico, ma fortunatamente esistevano già, non abbiamo fatto altro che preservarli e mantenerli tali”.

La profondità del pensiero della famiglia Soldera ci apre un mondo nuovo, scopre verità che già conosciamo ma che solo qui hanno trovato tanta cura e tanta praticità e passione. E pensare che un modello così, anche se interpretato non perfettamente e un po’ copiato, darebbe dei risultati insperati a livello nazionale. Sfortunatamente ciò non avviene e i produttori si accontentano di seguire una scia, quella del mercato, che poche persone come Gianfranco hanno costruito su basi solide negli anni, nei decenni. La sua perseveranza e costanza ci affascinano, il suo rigore spaventa e attira, il suo modo di pensare coinvolge e ispira. Gianfranco è una persona difficile, è vero, ma se avessimo più uomini come lui, l’Italia sarebbe sicuramente un paese più vivibile, bello, valorizzato e stimato. Nel mondo.

Il Brunello di Soldera

Parlare di Brunello di Montalcino oggi è complicato, tante sono le interpretazioni, le dimensioni, le incertezze. Grandi e piccoli eventi si alternano a creare immagine, confusione e rumore. Se abbiamo una sicurezza, questa si chiama Case Basse. Il Brunello di Gianfranco Soldera ha una connotazione stabile, estrema nella qualità, nella durezza dei suoi giudizi. Il vino per una volta si distacca da colui che lo ha pensato, diviene soggetto capace di emozionare e che per questo esula dall’asettica perfezione, dalla severità che lo ha creato. Ci domandiamo se questo non sia il risultato più grande, ovvero di trovare personalità e passione in un sistema che ruota attorno a ingranaggi assolutamente armonizzati. La verità è che nascosto dal lavoro, dallo studio e dalla fermezza delle operazioni quotidiane vi è l’espressione più autentica e al tempo stesso personale: la grandezza della natura. I colori calmi, le tinte calde, morbide e composte ne sono la prima dimostrazione. La sua trasparenza ci avvince, le sue sfumature ci conquistano. I profumi emanano sensazioni composite e complesse dove la tanta e piccola frutta accompagna l’evoluzione a percezioni più mature di confetture. La terra emerge, il suo odore rimane intrappolato nei grappoli, nel mosto, nel bicchiere. I fiori secchi accarezzano aromi di tè e si dissolvono negli eteri. Lo avvertiamo all’olfatto ma anche al gusto, dove finalmente il Sangiovese ha trovato una dimora sicura e la sua vera identità. Il finale è stupefacente come la lunghezza del retrogusto.

Noi lo consigliamo con agnello aromatizzato al caffè con purea di sedano rapa, oppure vicino a un carré di maialino di Cinta senese con semi di mostarda.