Gianfranco Soldera per la rivista Oinos

Vorrei ricordare a tutti gli amanti dei grandi vini, Beppe Rinaldi “Il citrico”, uomo di rara intelligenza ed umanità, grandissimo produttore di Barolo, strenuo difensore della Sua gente e del Suo bellissimo territorio, delle Sue tradizioni. Amico carissimo che mi mancherà anche per le lunghe discussioni su ogni argomento, per le cene con i vini ed i cibi che ci piacevano. Ho ricordi indimenticabili di annate del Suo Barolo che a mio avviso è uno dei più grandi vini del mondo.

Caro Beppe, mi sarai sempre vicino.

L’annata viticola 2018 è stata difficilissima, credo di aver capito qual è stata la causa di questo susseguirsi di eventi che hanno condizionato la gestione delle mie vigne ed è l’assenza della tramontana e degli altri venti che asciugano le vigne, che rendono limpidissima la luce, che abbassano la temperatura notturna e pertanto ho avuto una maggiore umidità dell’aria. Ciò mi ha portato a dover intervenire sui grappoli e sulle foglie con un utilizzo della manodopera con una spesa di tre volte rispetto a quella del 2017; per fortuna ho la possibilità sia economica, sia di reperimento di personale che è capace di operare come io pretendo (su 35 persone che utilizzo, gli italiani sono: mia moglie, io, mia figlia, mio figlio, mio genero ed, alla vendemmia, mia nuora e la più grande delle mie nipoti, perciò 7 su 35 , gli altri 28 sono extracomunitari che da molti anni lavorano nella mia azienda) e ciò mi permette di contenere i danni che altrimenti sarebbero catastrofici per la qualità dell’uva che deve essere vinificata.

Siamo ormai oltre la metà dei giorni di vinificazione e sono molto contento della qualità dei mosti e soprattutto della vinificazione che è la più facile delle 43 da me fatte; la temperatura interna nei due tini interessati (su 5 esistenti) è arrivata a 37,1 gradi con mia grande soddisfazione; i lieviti Saccharomices di ceppi diversi esistenti nei due tini hanno superato il milione per ogni millimetro quadrato di mosto, producendo alcool, fenoli, glicerina e tutte le altre sostanze che fanno grande un mosto e poi il conseguente vino; l’anidride carbonica prodotta ha protetto molto bene il mosto e le operazioni di rimontaggio sono state più brevi del solito; la considerazione che mi viene spontanea è che la natura mi stupisce sempre, un’annata con aria umida, difficilissima per la conservazione la maturazione dell’uva, ma la scelta rigorosissima dei soli acini sani, maturi ed interi che ho inserito dei due tini (pochissimi quantità di uva), hanno prodotto un mosto di assoluta pulizia, molto profumato, molto complesso, con valori chimici molto importanti e con una vinificazione facile.

Vorrei riportare quanto già scritto molti anni fa su quello che ritengo sia essenziale per superare questo difficilissimo periodo economico per i produttori di vino:

  1. Riduzione drastica delle rese di uva (30/40 per cento di quanto previsto dai disciplinari).
  2. Controlli sistematici da enti terzi (Università): dalla vigna alla vendemmia, alla vinificazione, alla maturazione, all’imbottigliamento, nei punti vendita, con relativa certificazione.
  3. Ricerca, sperimentazione, confronti con le Università per:
  • Mutazioni climatiche
  • Campi sperimentali per selezioni viti
  • DNA
  • Malattie delle viti
  • Microbiologia dell’uva, del mosto, del vino
  • Lieviti autoctoni
  • Studi su contaminanti del vino (ocratossina, querciatina e tanti altri che hanno già portato a notevoli sequestri di vini).
  1. Scelta oculata del terroir e dell’habitat che siano particolarmente vocati alla coltivazione della vite; coltivazioni senza diserbanti, con solo letamazione – leggere lavorazioni superficiali in inverno – zappatura manuale di ogni vite – potature solo quando la pianta è assolutamente ferma (queste operazioni sono state da me riportate in modo più esteso nel capitolo terzo del maggio 2006).
  2. Ricordiamoci che se dovessimo affrontare la crisi con una diminuzione dei prezzi, troveremo sempre qualcuno che fa un prezzo inferiore, mentre se riusciamo a fare vera qualità, non avremo tanti concorrenti; perché la cima della piramide è per pochi ed il mercato della vera qualità ci sarà sempre.

Certamente l’industria chimica ha moltissimi prodotti che possono aiutare ed ovviare alle enormi difficoltà di un’annata metereologica così difficile, si va da:

  • Nutrienti per la fermentazione
  • Enzimi
  • Nutrienti
  • Tannini
  • Coadiuvanti
  • Batteri
  • Chiarificanti
  • Antiossidanti
  • Nutrienti per lieviti

e così via…ma per me nel tino di vinificazione ci deve andare solo ed esclusivamente acini interi solo sani e maturi ed anche nelle botti solo esclusivamente pochissima solforosa.

L’ausilio del Professor Massimo Vincenzini, che dobbiamo festeggiare e congratularsi per la Sua nomina a Presidente dell’importantissima Accademia dei Georgofili, ritengo un giusto riconoscimento per quanto ha fatto nella Sua lunga carriera di scienziato, sono certo che la nuova responsabilità gli permetterà di raggiungere risultati importantissimi: “Buon lavoro, Massimo!”, è essenziale e mi dà grande sicurezza e tranquillità: ogni mattina vengono effettuati prelievi sui mosti e, a tarda sera, mi vengono comunicati telefonicamente gli andamenti e le situazioni di ogni tino. Naturalmente le operazioni di fermentazione vengono svolte solo con lieviti autoctoni anche selvaggi e senza controllo della temperatura interna dei mosti; ogni fermentazione mi convince sempre più che la natura è molto più brava dell’uomo e che meno si interviene, meno si rompe l’equilibrio naturale. Per chi volesse approfondire i problemi della vinificazione consiglio il testo del Professor Vincenzini “Microbiologia del vino”, un trattato molto importante per conoscere queste meravigliose operazioni dei lieviti.

La fermentazione spontanea è caratterizzata dallo sviluppo ed azione in combinazione e/o successione di varie specie di lieviti naturalmente presenti nel mosto e provenienti dall’uva e/o dall’ambiente in cantina. Generalmente, all’inizio del processo sono presenti, dominanti e attivi, lieviti non-Saccharomyces. Prevalentemente di forma apiculata, non dotati di elevato potere alcoligeno e destinati ad essere sostituiti, nel giro di pochi giorni, da lieviti Saccharomyces, responsabili della cosiddetta fase tumultuosa della fermentazione e capaci di portare a termine il processo fermentativo. Le possibili varianti, specialmente in termini quantitativi, a questo quadro estremamente semplificato sono innumerevoli perché lo sviluppo e l’attività di ogni specie dipendono da numerosi fattori. In ogni caso, la tipologia delle specie presenti, l’entità del loro sviluppo e la persistenza di ciascuna popolazione nel processo fermentativo, grazie alle peculiarità metaboliche che in prima istanza potremmo considerare specie-specifiche, sono tutti elementi in grado di incidere anche fortemente sulle caratteristiche sensoriali del prodotto finale, nel bene ed anche nel male, è corretto sottolinearlo.

I vini prodotti mediante fermentazione spontanea presentano una maggiore complessità di aroma e di gusto rispetto ai vini ottenuti con fermentazione indotta ed a volte vengono giudicati “grandi”,dotati di carattere e personalità, “unici” nel loro genere. E’ facile, a questo punto, attribuire l’origine della maggiore complessità all’azione combinata e/o in successione di lieviti diversi a livello di specie e, all’interno della stessa specie, a livello di ceppo. A tale riguardo, una indagine da me svolta sulla variabilità genetica intraspecifica di Saccharomyces cerevisiae (sono stati studiati 145 isolati da fermentazioni spontanee di mosti d’uva di un singolo vigneto nel corso di sei vendemmie consecutive, dal 1994 al 1999) ha messo in luce una biodiversità impressionante, sia relativamente ad ogni singola annata che tra annate diverse: dai 145 isolati complessivamente esaminati sono stati ottenuti 50 diversi profili di restrizione del DNA mitocondriale, 50 ceppi su 145 isolati!

Certamente, accanto alla possibilità di giungere a prodotti di particolare “grandezza”,  la fermentazione spontanea, per la sua intrinseca imprevedibilità degli esiti, può anche dar luogo a prodotti qualitativamente modesti. Per esperienza personale, però, questi casi sono molto spesso riconducibili ad uno scarso stato sanitario delle uve e/o ad una scarsa cura delle operazioni di cantina. In ogni caso, le metodologie analitiche oggi a disposizione consentirebbero di monitorare, in tempo quasi reale, l’andamento microbiologico della fermentazione vinaria spontanea, rendendo possibili eventuali interventi correttivi.”

Cosa ne pensate?