La qualità del vino – novembre 2008

Dalla rivista “Il Chianti e le terre del vino” – di  G. Soldera

L’annata vitivinicola 2008 è terminata e posso dire che è stata particolarmente felice: con una media di 40 quintali di uva a ettaro (su 70 q. previsti dal disciplinare), ho prodotto circa 190 hl di vino atto a divenire Brunello che, a mio avviso, sarà di altissima qualità.

Le operazioni di vinificazione, svolte come al solito nei grandi tini di Rovere di Slavonia Garbellotto, hanno avuto un andamento diverso tra le uve prodotte dalle vigne di 35/36 anni e quelle vigne piantate negli anni 1998/99/2000: nelle prime la durata della vinificazione è stata di 20/22 giorni, nelle altre di 28 giorni. La temperatura delle uve alla raccolta è stata di circa 18 gradi e ciò ha permesso ai lieviti autoctoni di svolgere il loro meraviglioso lavoro in modo regolare senza difficoltà e anche con meno rimontaggi e perciò con meno lavoro da parte mia.

L’opera scientifica svolta dal Prof. Vincenzini dell’Università di Firenze, nell’ambito della convenzione di ricerca che è in atto dal 1994 a Case Basse, nella fase di prevendemmia/vendemmia/vinificazione è quotidiana e ciò mi permette di controllare scientificamente tutte le trasformazioni e le evoluzioni dell’uva/mosto/vino. Voglio qui continuare con le parole del Prof. Vincenzini microbiologo e coautore del manuale “Microbiologia del vino”, che ritengo debba essere studiato da tutti i vinificatori e da tutti coloro che trattano il vino in modo professionale:

“Nel mosto d’uva appena ottenuto, il numero di lieviti “vinari” per ml è molto variabile, da poche centinaia a qualche milione di cellule in funzione di numerosi fattori. La specie S. cerevisiae è generalmente poco rappresentata, numericamente sempre in forte minoranza rispetto ad altre specie quali Metschnikowia pulcherrima, Kloeckera apiculata, Candida stellata (solo per citare le più frequenti). Successivamente i Saccharomyces diventano molti milioni per ml.

La fermentazione spontanea è caratterizzata dallo sviluppo ed azione in combinazione e/o successione di varie specie di lieviti naturalmente presenti nel mosto e provenienti dall’uva e/o dall’ambiente in cantina. Generalmente, all’inizio del processo sono presenti, dominanti e attivi, lieviti non-Saccharomyces. Prevalentemente di forma apiculata, non dotati di elevato potere alcoligeno e destinati ad essere sostituiti, nel giro di pochi giorni, da lieviti Saccharomyces, responsabili della cosiddetta fase tumultuosa della fermentazione e capaci di portare a termine il processo fermentativo. Le possibili varianti, specialmente in termini quantitativi, a questo quadro estremamente semplificato sono innumerevoli perché lo sviluppo e l’attività di ogni specie dipendono da numerosi fattori. In ogni caso, la tipologia delle specie presenti, l’entità del loro sviluppo e la persistenza di ciascuna popolazione nel processo fermentativo, grazie alle peculiarità metaboliche che in prima istanza potremmo considerare specie-specifiche, sono tutti elementi in grado di incidere anche fortemente sulle caratteristiche sensoriali del prodotto finale, nel bene ed anche nel male, è corretto sottolinearlo.

I vini prodotti mediante fermentazione spontanea presentano una maggiore complessità di aroma e di gusto rispetto ai vini ottenuti con fermentazione indotta ed a volte vengono giudicati “grandi”,dotati di carattere e personalità, “unici” nel loro genere. E’ facile, a questo punto, attribuire l’origine della maggiore complessità all’azione combinata e/o in successione di lieviti diversi a livello di specie e, all’interno della stessa specie, a livello di ceppo. A tale riguardo, una indagine da me svolta sulla variabilità genetica intraspecifica di Saccharomyces cerevisiae (sono stati studiati 145 isolati da fermentazioni spontanee di mosti d’uva di un singolo vigneto nel corso di sei vendemmie consecutive, dal 1994 al 1999) ha messo in luce una biodiversità impressionante, sia relativamente ad ogni singola annata che tra annate diverse: dai 145 isolati complessivamente esaminati sono stati ottenuti 50 diversi profili di restrizione del DNA mitocondriale, 50 ceppi su 145 isolati!

Certamente, accanto alla possibilità di giungere a prodotti di particolare “grandezza”,  la fermentazione spontanea, per la sua intrinseca imprevedibilità degli esiti, può anche dar luogo a prodotti qualitativamente modesti. Per esperienza personale, però, questi casi sono molto spesso riconducibili ad uno scarso stato sanitario delle uve e/o ad una scarsa cura delle operazioni di cantina. In ogni caso, le metodologie analitiche oggi a disposizione consentirebbero di monitorare, in tempo quasi reale, l’andamento microbiologico della fermentazione vinaria spontanea, rendendo possibili eventuali interventi correttivi.”

Ho voluto riportare quanto scritto da tempo dal Prof. Vincenzini (vedi anche Il Chianti e le terre del vino genn./febbr. 2007) anche per l’importanza che in questo momento rivestono per il Brunello la ricerca, la sperimentazione ed i controlli: dobbiamo partire dalla volontà dei produttori di Brunello per il 100% Sangiovese, sancita nell’assemblea del 27/10/2008,  per produrre secondo legge, meglio, con più ricerche, più sperimentazioni e più controlli da enti terzi (Università).

Cosa ne pensate?