Nuova OCM: poche certezze, molti interrogativi

Dalla rivista “VQ Vite, Vino e Qualità” – di  G. Soldera

L’ULTIMA VERSIONE DI OCM VINO PROPOSTA IN COMMISSIONE UE LO SCORSO LUGLIO CONVINCE PIÙ IL MONDO POLITICO CHE NON QUELLO PRODUTTIVO. ECCO COSA NE PENSA UN OPERATORE DEL SETTORE

La nuova bozza di Ocm vino presentata lo scorso 4 luglio da Mariann Fisher Boel in seno alla Commissione Ue presenta luci e ombre. Secondo ministro Paolo De Castro il nuovo testo contiene passi avanti rispetto a quelli precedentemente proposti, ma dalla base produttiva emergono opinioni contrastanti (si vedano a tal proposito anche le risposte dei lettori all’editoriale di questo numero di VQ). Ovviamente c’è ancora spazio per la trattativa, che si auspica vivace e produttiva.

A esprimere qui di seguito un giudizio sulla nuova proposta di Ocm non è un esperto di diritto, bensì un produttore. Abbiamo infatti voluto riportare l’opinione, motivata dall’esperienza personale diretta, di un rappresentante del settore produttivo che con la nuova Ocm, una volta approvata, dovrà fare i conti quotidianamente.

Considerazioni generali

Sono assolutamente d’accordo sull’importanza di procedere a una sistemazione organica del settore vitivinicolo, che dovrebbe a mio parere tenere conto delle seguenti priorità:

– difesa del consumatore, dal punto di vista della salute, della libera concorrenza, dell’impatto ambientale e di un’informazione onesta, non prezzolata, veritiera, controllata. Non è possibile degustare 50-70-100 vini al giorno, con bottiglie fornite dal produttore a qualsiasi temperatura, in situazioni ambientali non adeguate ed esprimere giudizi che influiscono sulle scelte dei consumatori;

– difesa del produttore: non è ammissibile che in commercio vi sia un Cabernet Dop con rese di 90 quintali di uva per ettaro e un altro, magari prodotto in una zona limitrofa, con rese 120 quintali di uva per ettaro. Non è parimenti ammissibile che per i vini da tavola non esista un limite di resa ad ettaro e che perciò si possano avere vini da tavola con rese di 200 q/ha o addirittura 500 q/ha. Naturalmente anche il consumatore ne trae un danno. Per non parlare poi delle diversità tra Dop e Igp recanti lo stesso nome di varietà, le cui differenze diventano fonte di concorrenza sleale fra produttori e di inganno nei confronti del consumatore.

Delle sovvenzioni e dell’etichettatura

Sono particolarmente lieto della soppressione degli aiuti alla distillazione – sovvenzioni che a mio avviso premiavano solo i cattivi produttori di uva – e anche della soppressione dei contributi ai mosti concentrati; ciò aiuterà i produttori a impostare una coltivazione con rese più basse per ottenere uve dalle gradazioni zuccherine più elevate.

Sono assolutamente contrario a indicare in etichetta l’annata e il vitigno per il vino da tavola, anche perché ciò implica il fatto di garantire al consumatore che quel vino è unicamente di quella annata e almeno per l’85% prodotto con quel vitigno e questo è un compito assolutamente impossibile. Credo inoltre che nelle carte dei vini verrà indicato, ad esempio, Cabernet 2005 e ciò indurrà in errore il consumatore, che sicuramente penserà a un Dop o Igp e non a un vino da tavola e perciò lo ordinerà (il costo sarà minore), con buona pace del produttore di Dop, che ha rese di uva inferiori di oltre la metà.

L’introduzione di Dop e Igp anche nel mondo enologico

E’ positivo che per i Dop il 100% delle uve debbano provenire dalla zona di produzione delimitata dal disciplinare, come del resto già previsto dalle Doc e Docg. L’introduzione invece, per le Igp, di vitigni non solo di Vitis vinifera ma anche di altre specie del genere Vitis mi lascia molto perplesso, ma non sono in grado di dare giudizi in merito.

È molto negativo a mio avviso il fatto che non siano più previste la Docg e la piramide di qualità, con eventuali sottozone.

Sempre per le Dop e le Igp, sono ammesse modifiche da parte di disposizioni legislative comunitarie, nazionali o, se del caso, stabilite dalle organizzazioni professionali, che in ogni caso sono compatibili con il diritto comunitario in generale. È perciò una norma generica e indefinita e come tale atta a favorire abusi da parte di poteri locali cui difficilmente le piccole aziende possono opporsi, anche in presenza di più o meno palesi violazioni al diritto comunitario. Disciplinari e decreti attuali docunt.

Altro punto che a mio avviso può ledere i diritti dei singoli produttori, soprattutto quelli di piccola dimensione, è quello che stabilisce il principio secondo cui organismi non dello Stato possono verificare il rispetto delle disposizioni dei disciplinari (che sono leggi dello Stato). Questa è una possibilità che rende inamovibili per anni gli organismi che per primi si appropriano del diritto di controllare ogni singola Dop o Igp, con le conseguenze che tutti possono immaginare. E sempre per quanto riguarda i controlli, vengono indicate anche le organizzazioni interprofessionali come possibili controllori. Ciò è a mio avviso assolutamente lesivo degli interessi dei consumatori e dei produttori: solo organi al di sopra delle parti possono garantire indipendenza, imparzialità e serietà.

Altro fatto gravissimo in materia di Dop e foriero di danni ai produttori e ai consumatori è la possibilità di vinificare, invecchiare e imbottigliare anche al di fuori della zona di produzione delle uve.

Norme in materia di produzione

La classificazione della varietà di uve da vino in Italia è stata demandata alle Regioni con provvedimenti diversi, non tutti in linea con le norme comunitarie prevalenti. Si rende perciò necessaria da parte dell’Italia una revisione della materia, concordata con tutte le Regioni, per avere una classificazione unica, in linea con le norme comunitarie; chi ordina, a chi e in quali tempi questa revisione? Forse sarebbe stato bene che la Commissione stabilisse una classificazione valida per tutti.

La delega alla Commissione sulle pratiche enologiche è molto ampia e potrebbe portare ad approvare pratiche sgradite alle tradizioni, soprattutto francesi e italiane; è vero che la Commissione dovrà attenersi alle pratiche enologiche riconosciute dall’Oiv, ma l’Oiv deve mediare anche gli interessi dei Paesi terzi produttori di vino (vedasi trucioli). Comunque sia, non sono ammesse norme nazionali più restrittive di quelle Ue e perciò dobbiamo tenerci i trucioli (anche se solo per i vini non Dop).

In merito allo zuccheraggio e agli arricchimenti

Sono d’accordo sul divieto di utilizzo del saccarosio, anche se penso che tale divieto verrà modificato per tutelare gli interessi di alcuni Stati europei. L’incremento della gradazione naturale viene ridotto a 1 grado, ma con deroga ai singoli Stati di portarlo a 2 gradi quando le condizioni climatiche di alcune regioni lo richiedano. Tutti gli operatori sanno bene che le Regioni italiane, normalmente in luglio, perciò ancora quando non si può sapere come sarà l’andamento stagionale, attestano che le condizioni climatiche sono negative al fine di legalizzare l’arricchimento; come viene informato il consumatore di questi arricchimenti? Quanto vale in più un vino non arricchito rispetto a quello arricchito? Se il consumatore potesse scegliere, essendone cosciente e perciò informato, tra un vino Dop arricchito e uno non arricchito, sicuramente sceglierebbe il secondo.  Ma non lo può fare perché non è messo delle condizioni per scegliere. Si ledono così la libera concorrenza, il libero mercato e i diritti di produttori e consumatori.

L’insidia degli espianti selvaggi

Stabilito dalle statistiche ufficiali che ogni anno ci sono nel mondo 50 milioni di ettolitri di vino invenduto, di cui a carico della Ue ipotizzo il 60%, pari a 30 milioni di ettolitri, l’espianto di 200.000 ettari di vigneti in 5 anni è certamente una misura importante e positiva ma non sufficiente. Infatti, ipotizzando che al 5° anno, perciò dopo l’intera operazione di espianto, si ottenga una minore produzione di vino pari a 15 milioni di ettolitri (ha 200.000 x ettolitri 75 di vino = ettolitri 15.000.000), si otterrebbe la metà di quanto sarebbe necessario a coprire le eccedenze invendute ogni anno. La differenza di eccedenza dove va a finire? Non sarà che si ricomincerà ad aiutare i cattivi produttori? La prima proposta di estirpare 400.000 ettariera più realistica, ma è stata bocciata dall’Europarlamento nel febbraio 2007, con 484 voti contrari e solo 129 a favore.

Nella proposta di riforma è ipotizzata una spesa di € 1.300.000.000, che è a costo zero, poiché è pari al risparmio ottenuto annullando gli aiuti vari che vengono attualmente elargiti, e ciò è sicuramente molto positivo. Ma non ho visto alcuna somma dedicata a prevenzione, studio e controllo dell’iter di espianto: quali ettari vitati vengono espiantati? Chi li sceglie? Con quali criteri? Con quali regole? Sono volontari? Sono obbligatori? Non vorrei che venissero estirpati vigneti marginali di collina che producono poca uva e lasciati vigneti di pianura con rese di 500 quintali e più di uva per ettaro; così, a mio avviso, pagheremmo € 1.300.000.000 (non dimentichiamo, infatti, che questa somma proviene dalle nostre tasche) e avremmo ugualmente le eccedenze di produzione di vino.

E non ho trovato neppure stanziamenti per i controlli che occorre effettuare a posteriori sugli espianti.

Prospettive preoccupanti

Le riflessioni sopra riportate mi portano a essere molto preoccupato come produttore e come consumatore. Risulta infatti difficile parlare di riforma che dovrebbe migliorare il mondo europeo della vitivinicoltura se:

– non sono previsti stanziamenti per i controlli sia preventivi sia consuntivi;

– manca la certezza del diritto: controllori che sono gli stessi controllati, sia come produttori che come tecnici; impossibilità per il consumatore di verificare che un vino da tavola Cabernet 2005 sia veramente prodotto con almeno l’85% di uve Cabernet e sia veramente tutto del 2005; impossibilità per il consumatore di sapere se un vino è prodotto in vigneto con rese di 500 quintali di uva per ettaro e di sapere in che luogo è stata prodotta quella stessa uva;

– non vi è alcuna tutela per il consumatore, che non potrà sapere se un vino è arricchito o meno, se e quali additivi e/o conservanti sono stati usati per produrlo, e dove sia stato prodotto, conservato e imbottigliato un vino Dop (teoricamente dovunque, anche all’estero, perciò a migliaia di km di distanza dalla vigna che ha prodotto quel vino) senza che il consumatore lo possa sapere, ed è superfluo sottolineare la difficoltà dei controlli che ciò comporta.

Vorrei quindi rivolgere una preghiera a tutti gli organi competenti, in primis alle autorità politiche, alle associazioni, anche dei consumatori, ai produttori, agli studiosi del diritto, affinché la materia sia approfondita e studiata onde ottenere quei miglioramenti che non vedo in questo testo.

Un’opinabile certezza di diritto

Voglio ribadire e sottolineare che non esiste riforma se non si stabiliscono regole certe, chiare, univoche, trasparenti per tutti e se tutta la filiera, sino al consumatore finale, non ne è correttamente informata e ciò riguarda anche il problema delle rese massime di uva e di vino per ettaro. Attualmente in Italia per i vini da tavola non c’è limite alla produzione di uva per ettaro, né di ettolitri di vino per ettaro, e purtroppo anche nella proposta di riforma Ue non viene posto alcun limite. Come possiamo parlare di concorrenza sana, di tutela del consumatore se partiamo da situazioni simili? Come si può parlare di riforma se manca assolutamente certezza del diritto? Altro caso dove la certezza del diritto è opinabile è nei tagli, dove si dice che in via di principio, salvo deroghe, è fatto divieto di taglio nella Comunità di un vino originario di Paese Terzo con un vino della Comunità. Ma chi, perché e quando concede deroghe?

* Società Agricola Case Basse – Montalcino (SI)

La nuova proposta di Ocm vino: alcuni richiami

La proposta presentata lo scorso luglio prevede il mantenimento del regime di abbandono definitivo, a cui dovrebbero essere assoggettati circa 200.000 ettari di superficie vitata (dai 400.000 inizialmente previsti) fino al termine della campagna 2012/13. A partire dal 2014 è prevista la liberalizzazione degli impianti. Al programma di abbandono (volontario) è destinata una dotazione finanziaria comunitaria decrescente in cinque anni, cui si possono affiancare aiuti nazionali complementari. È prevista inoltre l’abolizione di tutte le misure di sostegno al mercato (distillazioni, aiuti all’impiego dei mosti concentrati, zuccheraggio, magazzinaggio privato e restituzioni alle esportazioni). Agli Stati membri viene assegnata una dotazione finanziaria da utilizzare per definire programmi nazionali di sostegno quinquennali. Una quota delle risorse deve essere destinata al finanziamento di misure di informazione e promozione dei vini comunitari a indicazione geograficasui mercati terzi. Il concetto di vino di qualità si baserà sull’origine geografica. I vini a indicazione geografica si suddivideranno in vini a indicazione geografica protetta (Igp) e a denominazione di origine protetta (Dop). Sarà permesso ai vini da tavola (senza indicazione geografica) di riportare in etichetta il vitigno e l’annata. La competenza dell’approvazione di nuove pratiche enologiche o della modifica di pratiche esistenti passerà alla Commissione, la quale valuterà le pratiche enologiche ammesse dall’Oiv e le inserirà nell’elenco di quelle ammesse dall’Ue. La Ue inoltre autorizzerà le pratiche ammesse a livello internazionale per la vinificazione di vini da esportare nei rispettivi Paesi di destinazione. Saranno mantenuti il divieto di importazione di mosti da usare per la vinificazione e del taglio di vini europei con vini importati (Costanza Fregoni).