Dalla rivista “Il Chianti e le terre del vino” – di  G. Soldera

Quando l’amico Cappelli mi ha chiesto di tenere una rubrica sulla Rivista ne sono stato lusingato e ho pensato che, a 69 anni, era giusto scrivere non solo per i figli e per gli amici, come ho sempre fatto, ma iniziare anche a dialogare con un pubblico più ampio, con interessi ed opinioni diversi.

I temi che mi sono posto sono la qualità (non relativa), il confronto, la diversità, la tipicità, l’unicità e l’identità di questo meraviglioso prodotto che è il vino.  Posso svolgere questi temi da due punti di vista perché dai primi anni ’50 al 1972, sono stato solo un consumatore educato in famiglia a bere e mangiare bene; dal 1972 un viticoltore, dal ’75 produttore di uva e vinificatore con relativo invecchiamento di vini sempre solo da uve provenienti dalle vigne di “Case Basse” ed “Intistieti” di mia proprietà; mi manca pertanto la funzione e l’esperienza del commerciante di uva, di vino, del vinificatore di uve non proprie, dell’imbottigliatore di vini non prodotti e dell’assemblatore di vini. Da ciò risulta evidente che per cultura, scelte, esperienza, il mio pensiero è parziale e partigiano perché io credo e sono convinto che la qualità del vino parta da quelle microzone di terreno con particolari vocazioni, habitat, clima, limpidezza e quantità di luce che formano l’ambiente naturale affinché la vite possa dare un frutto sano, maturo, ricco di tutti quegli elementi che distinguono poi un grande vino e ciò può essere fatto solo da un proprietario/produttore. Ho così posto le basi per identificare cosa è per me la qualità. Certamente l’uomo non deve stravolgere il sottosuolo, ma cercare di capire ed assecondare la vocazione naturale della terra, specialmente nelle microzone e nelle coltivazioni che possono dare frutti di alto valore. Così l’uomo non deve forzare in alcun modo la pianta per avere quantità, ma anzi deve cercare di fare vivere la pianta il più possibile perché è dopo i trent’anni che la vite dà il meglio. Ne consegue: niente forzature – né chimiche né di altro genere – ma grande attenzione alle esigenze di ciascuna vite, cosa che non si può ottenere con le macchine; assoluto divieto di uso di sostanze chimiche che possono entrare nella pianta e nell’uva; continue lavorazioni solo manuali nelle vigne per permettere che le viti siano messe nelle migliori condizioni possibili per portare a maturazione perfetta e sana il frutto; diradamento, sfogliatura, quantità e qualità delle foglie da tenere nelle varie fasi.

Tutte queste operazioni – fatte da uomo che sappia e conosca la vite, usi il cervello, gli occhi e poi le mani – sono essenziali per poter parlare di qualità.

La vendemmia deve essere fatta solo al momento giusto, quando l’uva è perfettamente matura, si deve raccogliere e vinificare solo uva assolutamente sana, oltre che perfettamente matura, infine la durata della vendemmia deve essere brevissima, perché altrimenti l’uva peggiora.

Io credo che la natura sia più brava dell’uomo e perciò non credo nella tecnologia in cantina e da 31 anni vinifico solo diraspando e il mosto sta in tini  di legno grandi con solo lieviti autoctoni, senza controllo della temperatura e con solo rimontaggi, quanti l’uomo esperto ritiene siano necessari e per tutto il tempo che serve ai lieviti per trasformare il mosto in vino.

La maturazione del vino deve avvenire in cantine idonee per temperatura, umidità, ricambio d’aria, assenza di odori, rumori, luce ed in botti grandi di legno che non cedano gusti e profumi al vino, il grande vino acquisisce naturalmente dall’uva gusti e profumi armonici, eleganti, non invasivi che verrebbero distrutti e sostituiti dai gusti e profumi violenti della quercia.

Imbottigliamento senza alcuna chiarifica, né tanto meno filtrazione né brillantatura né aggiunta di additivi, conservanti, coloranti, gusti e/o profumi. Scelta studiata della bottiglia, del tappo e della confezione, per la migliore conservazione del vino.

Tutte le operazioni sopradescritte devono essere controllate e certificate da ricerche svolte da università che seguono assiduamente tutti i processi, così che ci sia un continuo miglioramento e soprattutto che gli errori che l’uomo commette sempre vengano riconosciuti e ovviati al più presto, perciò abbiano meno incidenza sulla qualità finale del prodotto.

Credo a questo punto di poter trarre la seguente conclusione circa la grande qualità di un vino che si può sintetizzare in:

  1. a) armonia – equilibrio – eleganza – finezza –complessità di profumi e gusti – tipicità perciò riconoscibilità del microterritorio – unicità perché non è sostituibile con un altro vino – rarità, con la quantità non si può fare grande vino – longevità, quando migliora col tempo per molti anni
  2. b) vino che nasce solo ed esclusivamente da una particolare terra ed habitat
  3. c) necessità di attenzioni, cure, ricerche, studi di notevole spessore e profondità
  4. d) l’uomo non deve mai dimenticare che la natura gli è superiore e perciò tutta la sua opera deve essere improntata al rispetto e alla conservazione della situazione naturale
  5. e) l’uomo deve sempre confrontarsi con tutto il mondo per poter migliorare.

Spero di aver aperto un dibattito ed un confronto con chi ha avuto la pazienza di seguirmi in queste mie considerazioni.