PREMIO INTERNAZIONALE BRUNELLO DI MONTALCINO
CASE BASSE SOLDERA ED. 2014 PER GIOVANI RICERCATORI
Roma, Palazzo Montecitorio,  20 febbraio 2015
SINTESI DEGLI STUDI

 

“Il DNA traccia l’origine microgeografica del Brunello di Montalcino”

Jacopo Bigliazzi
Dipartimento “Scienze della Vita” Università degli Studi di Siena

 

In Europa i vini a denominazione di origine sono oggetto di accurati controlli che ne garantiscono sia la composizione varietale, sia la provenienza geografica.

Le nuove biotecnologie hanno una notevole importanza nell’aiutare i produttori a rispondere alle esigenze imposte dal mercato sia in termini di qualità e tracciabilità del prodotto, sia in termini di sicurezza alimentare. In questo contesto,le analisi d’identificazione varietale nei residui di DNA da vino sono state considerate nell’ultimo decennio da alcuni Enti di controllo e regolamentazione dell’import-export (Alcohol and Tobacco Tax and Trade Bureau, USA), uno strategico strumento per l’attestazione della composizione varietale del vino. La lotta alle frodi in un vino presuppone come prerequisito qualitativo, l’individuazione e la quantificazione delle componenti varietali utilizzate in rispondenza ai disciplinari di produzione. Il metodo di analisi molecolare applicato ai residui di acidi nucleici estratti dal vino può essere considerato un buon punto di partenza per l’applicazione di un sistema di controllo molecolare di analisi, applicabile sia ai vini monovarietali, sia ai vini blended . L’analisi dei profili molecolari del vino rispetto ai vitigni (“test di coerenza del DNA”) è uno strumento analitico, capace di testimoniare in modo obiettivo la genuinità di un prodotto.

La definizione del profilo molecolare di un vino o “Wine-DNA-Fingerprinting” (WDF) ne attesta principalmente la composizione varietale. Tuttavia, l’elevata variabilità genetica di molti vigneti produttivi di storiche aziende presenti in Toscana, ha reso possibile l’individuazione di alcuni biotipi di Sangiovese con profilo genetico peculiare. E’ quindi emersa la possibilità di utilizzare la peculiarità di profilo queste viti, per creare una sorta di “tag” molecolare rintracciabile nel vino, che ne segnala la derivazione microgeografica. Questa metodologia è in questo momento in corso di studio presso la Società Case Basse di Gianfranco Soldera e prova come in alcuni casi, sia possibile utilizzare la tecnica di WDF come indicatore di origine geografica.

 

“Influenza della variabilità meteorologica inter-annuale sul contenuto e sulla composizione dei lieviti in uve Sangiovese”

Lorenzo Brilli
Università degli Studi di Firenze, DiSPAA

 

Kloeckera apiculata e Candida zemplinina rappresentano le quasi totalità delle specie di lieviti non-Saccharomyces (più del 95%) sia sulle uve che all’interno dei mosti. Questi lieviti sono capaci di accumulare metaboliti secondari la cui importanza nell’aumentare la complessità aromatica del vino è comunemente nota. Per tale motivo variazioni relative sia al loro numero totale (ovvero l’intera popolazione) che al rapporto tra le due specie può determinare un cambiamento del vino sia in termini di sapore che di aroma. Queste variazioni sono determinate da numerose variabili tra cui le condizioni climatiche e le pratiche viticole. Tali elementi agiscono fortemente sull’ambiente in cui i lieviti vivono e possono perciò causare modifiche sia nella loro quantità che nella loro composizione. Tali modifiche possono conseguentemente dar luogo a variazioni nelle caratteristiche finali del vino. Il seguente lavoro ha analizzato per ogni anno a partire dal 1997 al 2012 la relazione che lega l’intera popolazione dei lieviti nonché il rapporto tra le specie con le principali variabili meteorologiche (temperatura, umidità relativa, e precipitazioni). Lo studio è stato condotto in un vigneto di Sangiovese situato nel territorio di Montalcino. I risultati hanno indicato che le condizioni meteorologiche da 25 a 30 giorni prima della raccolta, in particolare le precipitazioni e l’umidità relativa, erano fortemente correlate con il numero totale dei lieviti. Inoltre le due specie maggiormente presenti, ovvero K. apiculata e C. zemplinina, sono risultate essere correlate con valori di temperatura dell’aria a 10 giorni dalla vendemmia, ovvero in corrispondenza della pratica di defogliatura della vite. Questi risultati hanno pertanto indicato come sia le condizioni meteorologiche che le pratiche gestionali possono influenzare sia l’intera comunità microbica presente sulle uve e nei mosti che il rapporto tra le specie che la formano, risultando così dei driver fondamentali nella formazione della complessità aromatica del vino.

Fonte: Brilli, L., Buscioni, G., Moriondo, M.,  Bindi, M., Vincenzini, M. 2014. Influence of Interannual Meteorological Variability on Yeast Content and Composition in Sangiovese Grapes. Am. J. Enol. Vitic. 65:3 (2014), 375-380, doi: 10.5344/ajev.2014.13116.

Malattia delle foglie tigrate della vite: nuove strategie di difesa”

Daniele Davitti
Università degli studi di Firenze – Facoltà di Agraria (Laurea triennale in “Viticoltura ed Enologia”)

 

Lo scopo principale della tesi è di contribuire all’impostazione di una sperimentazione di più anni che permetta di valutare la reale efficacia di quattro nuovi prodotti nella lotta contro il “complesso esca” della vite.

Questa tesi, infatti, riporta i dati del primo anno sperimentale (annata 2013) a confronto con l’annata 2012 in assenza d’intervento. Pertanto i risultati riportati non possono essere considerati come risultati finali, ma sono da considerarsi le basi di un periodo sperimentale ben più lungo e in evoluzione. L’analisi dei risultati 2013, è quindi una valutazione preliminare dell’effetto dei trattamenti.

I prodotti utilizzati per le prove sono quattro: un preparato commerciale a base di Trichoderma, una miscela sperimentale di nutrienti fogliari e due prodotti commerciali a base di rame penetrante.

I dati rilevati sono stati riportati su apposite mappe  in cui ad ogni pianta sintomatica è stata attribuita oltre alla specifica sintomatologia anche il grado di attacco del sintomo.

La rielaborazione dei dati prevede il confronto tra le parcelle sperimentali trattate e le parcelle in assenza d’intervento dei seguenti dati:

– l’incidenza media annuale;

– nuove piante sintomatiche;

– piante apoplettiche.

Nell’analisi delle prove sperimentali, dobbiamo considerare la notevole differenza che c’è stata dal punto di vista meteorologico tra le due annate prese in esame, che ha visto contrapporsi una primavera-estate siccitosa nel 2012 ad una stagione abbondantemente piovosa nel 2013.

Rimane quindi difficile valutare un solo anno di trattamenti soprattutto in condizioni di così elevata incidenza della malattia dovute alle abbondanti precipitazioni dell’annata 2013. L’unica valutazione positiva di questo primo anno di sperimentazione può essere fatta per la parcella trattata con Remedier che ha manifestato un minore aumento d’incidenza rispetto al non trattato.

Le altre parcelle trattate con rame e nutrienti, hanno manifestato un aumento d’incidenza proporzionale all’anno precedente e indipendente dai vari trattamenti sperimentali eseguiti.

Questi primi risultati, anche se poco incoraggianti, possono rappresentare un punto di partenza per capire meglio la reale efficacia di questi trattamenti.

 

“Approccio metodologico di remote sensing da UAV per descrivere con altissima risoluzione la variabilità termica del vigneto”

Salvatore Filippo Di Gennaro1-2
1Instituto di Biometeorologia (IBIMET), Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), Firenze
2Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali, Università di Perugia

 

L’impatto dei cambiamenti climatici è ormai una realtà ben confermata, in questo contesto diviene un dovere e responsabilità primaria della ricerca esplorare e far luce sulle dinamiche con cui il clima interagisce sulla fisiologia della vite e il suo impatto sulla qualità. Stagioni caratterizzate da basse temperature e eccessivo regime pluviometrico come l’annata 2014, si alternano con altre estremamente calde e siccitose causando serie difficoltà il viticoltore nella scelta della migliore gestione agronomica. Tuttavia nel lungo periodo, si presenta una tendenza diffusa in gran parte dei vigneti situati nelle regioni mediterranee a fenomeni di siccità stagionale, dove deficit idrici e temperature elevate, esercitano grandi vincoli alla resa e la qualità. La ricerca e l’agricoltura in generale dovranno quindi porre attenzione allo studio degli stress idrici e termico/radiativi che sempre più gravemente influenzeranno l’ambiente di crescita e sviluppo delle piante. In questo lavoro viene proposto un approccio innovativo per analizzare nel dettaglio l’impatto termico e radiativo sui grappoli, e l’influenza dell’ombreggiamento sul riscaldamento degli acini in viti di diversa età. Il protocollo messo a punto ha previsto l’impiego di una piattaforma UAV per analizzare l’eterogeneità in termini di vigore di un vigneto sperimentale; l’analisi dei dati acquisiti sia a Luglio che a Agosto ha consentito di individuare parcelle omogenee in termini di vigore e collocarvi un monitoraggio prossimale della temperatura dei grappoli e della temperatura e umidità relativa della chioma. In pre-vendemmia è stato effettuato un monitoraggio ad altissimo dettaglio della temperatura della parte superiore della chioma per mezzo di una sensore in grado di misurare la risposta delle piante nell’infrarosso termico. Si tratta di un innovativo sensore (FLIR TAU II 324) ottimizzato per l’utilizzo da drone, caratterizzato da minimi dimensioni e peso, e altamente performante in termini di risoluzione a terra. L’utilizzo di una pistola termica (FLIRi7) a terra ha consentito di validare i dati acquisiti dal drone durante il volo, effettuando misure su appositi pannelli di riferimento. I risultati ottenuti hanno permesso di descrivere nel dettaglio la variabilità termica della chioma, e confrontando i dati ottenuti dal monitoraggio in continuo registrati dal sistema di monitoraggio prossimale, analizzare le correlazioni tra l’informazione spazializzata ottenuta da UAV e il dato reale misurato sia a livello di grappolo che di cortina fogliare. Analizzare la variabilità termica in vigneto è di fondamentale importanza per comprendere lo stato di salute delle piante. In questa prospettiva, l’utilizzo di un drone consente di ottenere in un unico volo informazioni termiche di tutto il vigneto, al contrario delle misure con operatore a terra che richiedono lunghissimi tempi operativi.

 

“L’evoluzione del profilo sensoriale dei vini rossi italiani dopo l’apertura della bottiglia  – Analisi dell’andamento e della caratterizzazione del profilo sensoriale di vini rossi dopo l’apertura della bottiglia: i vini rossi italiani e i ‘vini importanti'”

Dottoressa Claudia Ferretti
Soc. Coop. Centro Studi Assaggiatori, Brescia

 

L’olfatto è legato alle aree più ancestrali del nostro cervello, quelle meno razionali, quelle strette in modo intimo alla nostra memoria. L’olfatto è il senso del pericolo e al tempo stesso quello dell’amore.

Scienze e tecnologie esaltano il lavoro della natura per creare un vino che ambisce alla grandezza. Dopo tanti sforzi la prova finale avviene all’apertura della bottiglia: se sarà privo di difetti, ricco di aromi, se saprà emozionare ed evocare memorie attraverso la percezione sarà un grande vino. L’analisi sensoriale è la scienza che indaga questa parte della natura: l’uomo che vive il vino. È la misurazione degli stimoli sensoriali sviluppati da prodotto e percepiti dall’uomo. Da tempo utilizzata per indagare, monitorare e sviluppare il Brunello di Montalcino.

Il prezioso profilo sensoriale del vino e tutti gli sforzi profusi nella sua creazione vivono nell’estasi di pochi attimi o godono di vita più longeva? Una domanda questa di grande attualità vista la contemporanea rinascita del consumo di vino al calice.

Nel corso del 2013 abbiamo provato che esiste un’evoluzione sensoriale nel vino rosso a bottiglia aperta nel corso del tempo, verificata da 0 a 144 ore dall’apertura, e questa avviene in modo diverso tra vini da invecchiamento di antica scuola enologica, “vini importanti”, e quelli di nuova enologia “giovani”.

Come avviene l’evoluzione del profilo sensoriale dei vini rossi italiani e in quelli importanti dopo più di 100 ore dall’apertura della bottiglia?

Abbiamo indagato l’evoluzione del profilo sensoriale di diverse tipologie di vino rosso a bottiglia appena aperta e in seguito a oltre 100 ore dall’apertura su un campione composto da tre annate di 100% Sangiovese Case Basse Soldera e 31 campioni di vino rosso maggiormente presenti sul mercato in Italia, individuati tra 144 campioni complessivi analizzati.

Due grandi test:

1)   tre commissioni in 36 sessioni d’assaggio hanno valutato 144 campioni di vini rossi italiani maggiormente diffusi sul mercato nazionale (e tre diverse annate di Sangiovese Case Basse Soldera) appena stappati;

2)   due commissioni in 6 sessioni d’assaggio hanno valutato 28 di questi campioni rappresentativi delle diverse tipologie di vini rossi presenti sul mercato in Italia e tre diverse annate di Sangiovese Case Basse Soldera a più di 100 ore dalla loro apertura.

Un metodo: Trialtest che misura 22 descrittori e definisce il profilo descrittivo ed edonico, controllando l’attendibilità dei descrittori, l’indice di efficacia dei giudici e la scheda utilizzata per la misurazione dei valori.

I profili e i dati ottenuti sono stati elaborati con tecniche statistiche parametriche e non parametriche, univariate e multivariate mettendo a confronto il profilo sensoriale dei prodotti con la loro provenienza, caratteristiche quali denominazione, annata e grado alcolico e dati edonici per verificare il comportamento di queste variabili, prendendo in esame i campioni aperti da più di 100 ore e i medesimi appena aperti.

I dati emersi dalla ricerca rivelano che:

  • dopo oltre 100 ore dall’apertura della bottiglia i campioni hanno mantenuto intatte le loro principali caratteristiche sensoriali;
  • i campioni che hanno ottenuto prestazioni migliori dopo più di 100 ore di apertura sono caratterizzati da una buona percezione sferica, struttura, ricchezza aromatica e persistenza, da presenti note speziate e astringenza e da un’acidità che prevale sull’amaro;
  • i campioni che hanno ottenuto un giudizio globale a bottiglia appena stappata ottengono elevate prestazioni anche a bottiglia aperta, quelli poco performanti a zero ore, lo sono anche dopo 100, senza però subire gravi declini;
  • il giudizio globale espresso sui campioni aperti da più di 100 ore è legato alle variabili dell’anno e del grado alcolico;
  • i “vini importantiemergono come un gruppo distinto e compaiono tra i campioni che hanno ottenuto migliori valutazioni nel giudizio globale a bottiglia aperta e a bottiglia aperta da più di 100 ore;
  • i profili sensoriali dei campioni di 100% Sangiovese Case Basse Soldera mutano nel tempo in modo armonico. Dopo 100 ore di apertura rivelano elevate caratteristiche di: saturazione del colore, intensità olfattiva, note fruttate, floreali e speziate, una buona struttura, sostenuta da un’elevata percezione sferica, una buona acidità e un più lieve sentore amaro e astringente.

È possibile constatare che il vino rosso in Italia oggi è adatto per essere sorseggiato e degustato anche dopo molte ore dall’’apertura della bottiglia; in particolare se il vino ha un profilo sensoriale ricco e pulito a bottiglia appena aperta, sarà appagante a lungo anche da “stappato”. Un primo passo questo per mettere a punto un modello di indagine che mira a dare ai produttori un certificato della tenuta sensoriale del suo vino al fine di: va­lorizzare le aziende che lavorano in qualità, offrire ai ristoratori un utile strumento di lavoro e tutelare i consumatori.

 

“La defogliazione precoce: effetto indotto sulla qualità di uve Sangiovese e di vini sottoposti ad affinamento in legno prolungato”

Relatore: Francesca Venturi
Anno: 2012-2013
Giulia Härri
Corso di Laurea in Viticoltura ed Enologia, Università di Pisa

 

Obbiettivo principale di questa sperimentazione è la ricerca dell’incremento della qualità di uve Sangiovese, da perseguire per ottimizzare il prodotto ed aumentarne la tipicità. Il vigneto oggetto della tesi è situato a Montalcino, territorio devoto alla coltivazione del Sangiovese, vitigno che essendo sensibile alle sollecitazioni ambientali ed agronomiche richiede una gestione oculata della chioma volta a mantenere un equilibrio vegeto-produttivo ottimale per il contenimento della resa unitaria, al fine di ottenere uve di qualità e vini di grande pregio quale il Brunello di Montalcino.

Tra le varie tecniche agronomiche proposte in letteratura per la gestione della chioma, la defogliazione precoce del tratto basale dei germogli produttivi, effettuata in prossimità della fase fenologica della fioritura, può consentire di modificare l’equilibrio source-sink della vite influenzando direttamente la struttura del grappolo e la composizione dell’acino.

In questo contesto, l’effetto indotto su uve Sangiovese dalla defogliazione manuale e da una variante pseudo-meccanica, rispetto alla tesi testimone nel corso del 2013 presso una Società di Montalcino è stato verificato mediante la caratterizzazione chimico-composizionale e sensoriale degli acini dall’invaiatura fino al momento della vendemmia. Parallelamente si è condotta l’analisi chimico-composizionale e sensoriale dei vini prodotti, in accordo allo stesso protocollo sperimentale nelle annate precedenti (2011 e 2012) e attualmente affinati in legno, al fine di verificare se le differenze eventualmente riscontrate nelle uve per effetto della defogliazione precoce si ritrovavano nel vino anche a seguito di un lungo periodo di maturazione.

Nello specifico la tecnica della defogliazione precoce nell’anno 2013, se paragonata a una tesi testimone non defogliata, si è dimostrata efficace nell’influenzare le caratteristiche morfologiche del grappolo, che è risultato più spargolo, presentando inoltre acini più piccoli, e dunque caratterizzati da un più elevato rapporto buccia/polpa connesso con le caratteristiche composizionali ottimali necessarie per i vini da maturazione. Il contenuto fenolico delle uve provenienti da viti defogliate è risultato significativamente più elevato rispetto a quelle testimone nel corso dell’intera maturazione e la defogliazione manuale si è rivelata più efficace del trattamento pseudo-meccanico.

A seguito dell’affinamento prolungato in legno, però, sembra evidente che le eventuali differenze riscontrate nelle uve trattate nel 2011 e nel 2012 si sono ridotte progressivamente nei vini per effetto della maturazione, rimanendo evidenti solo a livello gustativo.

 

“Il ragnetto giallo “Eotetranychus Carpini”: leggere e contenere il danno nei vigneti toscani” 

Giuseppe Mazza
Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria – Centro di ricerca per l’Agrobiologia e la Pedologi, Firenze

 

Il ragnetto giallo della vite, Eotetranychus carpini (Oudemans, 1905) (Acari, Tetranychidae), è un acaro fitofago diffuso in tutta l’area mediterranea. In Italia, il fitofago è notoriamente associato alla vite, ma può comportarsi anche da polifago. Le sue infestazioni sono particolarmente frequenti e pericolose soprattutto nelle aree viticole dell’Italia del Nord e Centrale. Il ragnetto giallo è in grado di procurare, anche nell’ambito della viticoltura toscana di pregio, danni alla vegetazione e consistenti perdite di produzione soprattutto per la difficoltà di correlare l’insorgenza dei primi danni con l’abbondanza/struttura della popolazione del fitofago.

L’intensità del danno dovuta al ragnetto è spesso amplificata dalla mancanza di antagonisti, in particolare acari fitoseidi, e dalla mancata tempestività degli interventi di controllo. La messa a punto e la validazione di uno strumento che consideri la quantificazione del danno in relazione alla densità, ai cicli di sviluppo, sopravvivenza e riproduzione del ragnetto giallo, non prescindendo dalla fase fenologica della pianta, può costituire quindi un mezzo efficiente nell’applicazione di strategie di difesa tempestive e mirate a supporto di un’agricoltura a basso impatto agro-ambientale.

I dati sono stati acquisiti da oltre 4.500 osservazioni, in seguito a monitoraggi pluriennali per il controllo dell’acaro fitofago E. carpini nell’areale di produzione di vini di alta qualità (Montalcino e Val d’Orcia), in vigneti convenzionali e biologici. In particolare, sono stati correlati l’intensità e la categorizzazione del danno con la presenza/ abbondanza/distribuzione degli stadi di sviluppo del tetranichide e dei predatori, e con altre componenti quali la fase fenologica e la varietà della vite.

Il danno registrato ha interessato oltre la metà delle osservazioni e la sua consistenza ed evoluzione sono risultate influenzate dalla numerosità e dalla struttura della popolazione di E. carpini, dal vitigno considerato e dalla presenza di predatori.

Si ritiene che le evidenze raccolte possano essere di supporto nella tempestiva diagnostica dei danni dovuti ad E. carpini e nella messa a punto di strategie di controllo.

 

“Analisi dell’umidità nel terreno attraverso tecniche wireless, un sistema efficiente per un’agricoltura sostenibile”

Riccardo Stefanelli, Elisa Pievanelli, Abel Rodriguez de la Concepcion
iXem Labs, Politecnico di Torino

 

Il monitoraggio delle condizioni micro-climatiche in vigna è divenuto negli ultimi anni uno strumento di supporto ai viticultori per agevolare un’agricoltura sostenibile. La soluzione che propone il laboratorio iXem riguarda il monitoraggio delle condizioni di umidità nel terreno, coniugando una misura precisa e capillare attraverso l’uso di un Ground Penetrating Radar (GPR), con un sistema di sensori wireless che offre analisi continuative nel tempo. Il GPR è una tecnica nota, impiegata in passato per identificare oggetti o cavità nel terreno, da noi riadattata per rilevare la presenza di umidità nel terreno fino a profondità di 3-4 metri. Nel mese di Settembre 2014 nel vigneto “sinistra Intistieti” dell’Az. Case Basse è stata condotta una campagna di misure i cui risultati hanno confermato che nello stesso vigneto coesistono zone con diversi gradi di umidità, distribuita su stratificazioni sotterranee sia orizzontali che verticali. Questi risultati saranno confrontati con quelli ottenuti da una rete di microsensori wireless, realizzati dallo stesso Laboratorio, che oltre ai comuni parametri ambientali offre anche la possibilità di rilevare immagini con microcamere ad alta definizione. Questo permette di correlare lo stato del terreno in profondità con l’aspetto visivo del vigneto. Per un’analisi della stratificazione del terreno è stato progettato un sensore non invasivo che attraverso onde radio è in grado di stimare le variazioni nel tempo della costante dielettrica complessa del terreno e quindi la quantità di acqua presente. Il sensore è composto da due aste che includono radiatori ricetrasmittenti che scambiano un segnale radio. La variazione di segnale radio è utilizzata per calcolare quella di umidità. Nella stagione 2015 le analisi saranno ripetute ed estese su tutti i vigneti di Case Basse.

 

“Tracciabilità geografica del vino mediante identificazione neutronica di atomi lantanidi”

Emanuela Pusceddu
Institute of Biometeorology, National Research Council, Firenze

 

Il vino è una bevanda diffusa in tutto il mondo. Un problema che affligge l’industria agro-alimentare, in particolare il vino, sia dal punto di vista della qualità del prodotto che da quello economico, è costituito dalla falsificazione, come il danno derivante dall’errata dichiarazione e miscelazione di vini. Numerosi studi hanno affrontato il tema della tracciabilità varietale del vino ed hanno permesso di mettere a punto metodologie di analisi solide mentre, ad oggi, sono pochi gli studi relativi alla tracciabilità geografica. Il vino è una miscela complessa di acqua ed etanolo contenente sostanze inorganiche ed organiche, e microelementi tra cui gli elementi della famiglia dei lantanidi, presenti in ultra-tracce. Precedenti studi hanno analizzato il vino mediante la tecnica dello spettrometro di massa per ottenere una correlazione tra gli elementi chimici, terre rare, nel terreno e nella pianta stessa. Nel presente lavoro è stata invece utilizzata una tecnica innovativa, la diffrazione da neutroni, con l’obiettivo di correlare il vino all’area specifica di ‘produzione’. Mediante questa tecnica è possibile ottenere dettagliate conoscenze sulle varie strutture cristalline presenti nel vino. Sono stati analizzati campioni di mosto ed i corrispondenti suoli provenienti da tre diversi vigneti: i primi due nella Società Agricola Case Basse (Montalcino – SI) in corpi aziendali adiacenti denominati “Case Basse”  ed “Intistieti” (distanza<1km); il terzo presso L’Azienda Agricola Montepaldi (San Casciano Val di Pesa – FI). Il suolo è stato setacciato, polverizzato e liofilizzato; il mosto è stato ottenuto mediante spremitura dei grappoli, filtrato per eliminare vinaccioli e buccia e poi liofilizzato. La liofilizzazione dei campioni è necessaria per eleminare il segnale amorfo dovuto all’acqua. Dagli spettri di diffrazione da neutroni si evince la presenza di diverse strutture cristalline sia nel suolo e che nel mosto. Nei campioni relativi al vigneto di Case Basse, è stata identificata la struttura cristallina del minerale Deveroite-Ce, contenente il lantanide Cerio (Ce). Nel vigneto Intistieti, adiacente a Case Basse, sono stati trovati i minerali Gadolinite-Y e Perrierite-Ce, che contengono specie atomiche come Ittrio (Y), Cerio (Ce), Neodimio (Nd), ed il progenitore della famiglia dei Lantanidi, il lantanio (La). Mentre nei campioni di suolo e mosto relativo al vigneto di Montepaldi, è stato trovato il minerale Monazite-(La) contenente anche il Lantanio. Questi minerali caratterizzano peculiarmente e collegano il mosto alla sua aria geografica di produzione. Il lavoro prosegue con la realizzazione di una carta di identità del vino (fingerprint), al fine di poter identificare più minerali contenenti lantanidi per lo stesso vigneto, raggiungendo una firma ‘cristallografico-minerale’ univoca dei prodotti agro-alimentari. Con questa metodologia di analisi si possono ottenere risultati più accurati, proponendo un nuovo protocollo e più precise analisi per la tracciabilità di biomateriali, in particolare dei vini.

 

“Ecologia dei lieviti nella fermentazione vinaria e suo effetto sui contenuti in flavonoidi, tirosolo ed idrossitirosolo di vini da uve Sangiovese prodotte nell’areale di Montalcino”

Yuri Romboli
Dipartimento di Gestione dei Sistemi Agrari, Alimentari e Forestali, sez. Scienze e Tecnologie Alimentari e Microbiologiche, Università degli Studi di Firenze

 

In questo lavoro è stato valutato l’effetto di diverse specie di lievito e dell’aerazione durante la fermentazione alcolica di mosti da uve Sangiovese sui contenuti e sulla composizione degli antociani, dei flavonoli, dei flavan-3-oli monomeri, del tirosolo ed dell’’idrossitirosolo. A questo scopo, sono state allestite delle micro vinificazioni in condizioni standardizzate di laboratorio, impiegando uve Sangiovese. I mosti, con bucce e vinaccioli, sono stati fermentati in un caso inoculando uno specifico ceppo di Saccharomyces cerevisiae Sc1 e nell’altro con un inoculo sequenziale di uno ceppo di  Candida zemplinina Cz1 (Starmerella bacillaris con quanto riportato da Duarte et al., 2012) seguito, dopo 5 giorni, da S. cerevisiae Sc1. Inoltre, le fermentazioni sono state condotte con e senza apporto di aria. Per quanto riguarda i contenuti fenolici dei vini sperimentali, le diverse specie di lievito che hanno caratterizzato le fermentazioni alcoliche sembravano influenzare l’indice di polifenoli totale (IPT) e il contenuto in flavan-3-oli monomeri dei vini sperimentali, probabilmente a causa di una diversa cinetica di produzione dell’etanolo che ha portato a differenze significative nell’estrazione durante la macerazione. Inoltre, i vini ottenuti in diverse condizioni di aerazione mostravano concentrazioni di antociani non polimerici, flavonoli e flavan-3-oli diverse, probabilmente come conseguenza della suscettibilità di queste sostanze a fenomeni di ossidazione.

Le condizioni di aerazione e, in maniera ancora più marcata, le specie di lievito coinvolte durante la fermentazione alcolica hanno portato a differenze significative nel profilo antocianinico dei vini, mentre, il profilo flavonolico e quello dei flavan-3-oli monomeri non sono stati influenzati in maniera significativa. In particolare, i vini sperimentali prodotti con inoculo sequenziale erano caratterizzati da una maggiore abbondanza di antociani disostituiti (cianidina-3-O-glucoside e peonidina-3-O-glucoside) e vitisina A e da un’inferiore abbondanza relativa di malvidina-3-O-glucoside. Inoltre, sia l’aerazione che le specie di lievito risultavano in grado di modificare la distribuzione percentuale della quercetina e dei suoi derivati glicosidici nei vini. Infine, i contenuti maggiori in tirosolo ed idrossitirosolo sono stati riscontrati nei vini sperimentali prodotti da fermentazione con solo S. cerevisiae Sc1 in condizioni non aerate.